Monday, March 18, 2013

Vuoi lavorare? Impara il tedesco


Tratto da "L'Espresso" 

di Paola Pilati e Stefano Vastano

La Germania è affamata di ingegneri, di medici, di informatici. Ma non mancano opportunità in altri settori. Ecco perché i corsi al Goethe stanno avendo un boom. E non solo in Italia
(18 marzo 2013)

Ich bin ein Berliner, compitava la generazione degli anni Sessanta fremendo con John Kennedy per la libertà negata nel cuore della Germania. I ch würde so gern ein Deutscher sein, vorrei tanto essere un tedesco, dicono oggi i giovani disoccupati d'Europa, soprattutto di quei paesi "Pigs", i più schiaffeggiati dalla piaga dei senza lavoro. E non basta desiderarlo. Per salire sulla locomotiva d'Europa occorre saperlo proprio dire, e bene, nella lingua di Schiller e di Kant: per trovare un contratto in Germania, soprattutto per le qualifiche professionali, non basta più l'inglese come lingua franca, ma è richiesto il livello di tedesco detto B1, molto più di quel che serve per ordinare birra e patate.

Dal modello tedesco alla germanizzazione dell'Europa, partendo dal suo ventre molle? Pensiero scorretto, e poi non è detto che sia un male. Ma senza rispolverare la storia dell'impero romano costruito sulla diffusione della lingua, è un fatto che negli ultimi mesi ha preso forma un progetto che si potrebbe definire di "orgoglio culturale". Che vede in prima linea i Goethe Institut, la rete di scuole di lingua e civilizzazione all'estero, con una missione precisa: fare da cerniera tra il mondo delle imprese tedesche a caccia di personale qualificato e il mercato del lavoro.

E con un budget record: 139 milioni di euro la somma ora stanziata dal ministro del lavoro Ursula von der Leyen, per spingere i giovani stranieri a studiare, già in patria, il tedesco. Se prima i destinatari dei corsi di lingua erano studenti di filosofia o seminaristi, dall'anno scorso è stato un boom di aziende che hanno chiesto la formazione in tedesco per professionisti: erano solo 14 nel 2011, sono diventate 40 nel 2012. Quelle tedesche impiantate qui, da Lufthansa a Würth a RheinMetall, e quelle italiane acquistate dai tedeschi, come la Ducati, diventata Audi Group, e la Italdesign di Giugiaro, diventata Volkswagen. Nelle scuole il tedesco, eterna cenerentola, comincia a diventare un insegnamento sexy per gli studenti (10 mila in più nell'ultimo anno); la crescita di corsi al Goethe registra un più 25 per cento.

«Per fare business occorre conoscere non solo la lingua, ma anche le regole di comportamento», aggiunge Maurizio Casasco, presidente nazionale della Confapi, che riunisce le piccole e medie imprese. «Qui da noi, a Brescia, da un anno e mezzo si fanno veri corsi di formazione sul sistema tedesco dei rapporti di lavoro, sull'ottimizzazione della qualità, sull'efficienza. Per far capire ai nostri che una consegna alle ore 5 del giorno 22 deve essere quella, e non il giorno dopo, e che a una richiesta di preventivo occorre rispondere subito, altrimenti i tedeschi si rivolgono a un altro».

Ma in questo caso ciò che si muove sulla logica dei fatturati è meno potente di quanto viene messo in moto dal bisogno di braccia, anzi di cervelli. Con il suo tasso di disoccupazione al 6,9 per cento, un clima che ha permesso al sindacato Ig Metall di chiedere aumenti del 5,5 per cento e alla Volkswagen di promettere bonus di performance di 7.200 euro ai lavoratori delle sue fabbriche, la Germania è diventata il mercato del lavoro più attraente del continente.

Per far funzionare le imprese tedesche devono entrare ogni anno in Germania, stimano i demografi, almeno 400 mila emigranti. Sembra una cifra enorme, ma corrisponde per difetto alle attuali ondate migratorie. Nel 2012 infatti oltre 500 mila persone provenienti dai 27 paesi dell'Unione hanno cercato lavoro in Germania, voltando le spalle ai paesi più colpiti della crisi economica: il record è della Polonia (vedi grafico a fianco), ma sono in crescita i flussi da Spagna, Portogallo, Grecia e anche Italia. Per noi il paese della Merkel si sta trasformando in una specie di nuova America: l'anno scorso 32.633 italiani sono arrivati, per motivi di studio o alla ricerca di lavoro, in Germania. E questi, commenta Vassili Tsianos dell'università di Amburgo, «sono solo i dati ufficiali: quelli reali dovrebbero essere tre volte maggiori».

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