Friday, March 29, 2013
Tuesday, March 26, 2013
British and American vocabulary differences: Seventh Episode.
If you’re British you queue, if you’re American you
line up.
The British English term queue corresponds to what Americans call line.
Tuesday, March 19, 2013
Neuer Papst Franziskus hält erstes öffentliches Angelusgebet ab
Der neue Papst Franziskus hat sein erstes öffentliches
Angelusgebet gesprochen – ein Gebet, das jeder Papst Sonntagmittag von seinem
Fenster aus gemeinsam mit der Menge auf dem Petersplatz in Rom abhält. In einer Ansprache forderte er die Katholiken außerdem
auf, sich auf die Gnade Gottes und seine Geduld mit den Menschen zu verlassen.
Gott werde niemals müde, den Menschen zu vergeben – es seien die Menschen, die
müde würden, um Vergebung zu bitten.
Franziskus bekräftigte, dass er seinen Namen in
Erinnerung an den heiligen Franz von Assisi gewählt habe, der ja auch der
Schutzpatron Italiens sei. Das zeige unter anderem seine geistige Verbindung
mit diesem Land, in dem die Ursprünge seiner Familie lägen.
An zwei Sonntagen zuvor hatte es keinen
Papst und damit auch kein Angelusgebet gegeben: Das zuvor letzte Gebet hatte
Ende Februar, kurz vor seinem Rücktritt, noch der scheidende Papst Benedikt XVI. abgehalten.
Discussion about violence against women in Italy
Working group discusses violence against women
in Italy
Taken from www.eui.eu
Posted on Wednesday 12th December 2012
The response to violence
against women in Italy varies depending on a victim or perpetrator’s
nationality, a speaker at a Gender, Race and Sexuality Working Group said on 26 November.
The event was held the day
after the International
Day for the Elimination of Violence against Women, bringing academics and practitioners together to
discuss the current situation in Italy.
Valeria Ribeiro Corossacz, an anthropology lecturer at the University of
Modena, said that Italian society took a different approach to violence based
on the person’s identity: “When the violence is committed by a man with a
foreign background, the reason for the aggression is found in the culture,
nationality and religion of the man…In the case in which the violence is
perpetrated by an Italian man, there is a tendency to explain the action in a
psychological dimension, as jealousy or an individual aspect which is not
representative of the entire Italian or Catholic culture.”
Giving such justifications for violence dismisses the
truth that aggression is grounded in social relationships based on gender
inequality, she said. Going further, Ribeiro Corossacz argued that this allows
for the “reproduction of respectable racism” in society. “[It] creates a
cultural hierarchy based on the way men behave against women, as it fully
legitimises the inferiority of whole cultures by arguing the superiority of
white, Western culture,” she said.
As men’s experience is
determined by their identity, so too is that of women. Nicoletta Bacci from Artemisiaassociation, which has a refuge in Florence, said that
while 70 per cent of women who phone for advice are Italian, 98 per cent of
those who stay at the shelter are foreign.
“Italian women have much wider support networks of
friends and relatives; many foreign women do not have this network. Moreover,
they are often rejected by their communities if they do denounce violence,” she
said. Launched in 1991, the association first worked with women from Eastern
Europe although is now seeing an increasing number from Africa, Asia and South
America.
The women’s diversity extends to their reason for
coming to the refuge, Bacci said. While some may have come voluntarily to
Italy, others have been trafficked.
Francesca Nicodemi, who works
on trafficking for the Association
for Legal Studies on Immigration (ASGI), said that while an effective legal system is in place in
Italy, there are several problems of implementation.
“One example is that many police officers demand that
the victims collaborate in the criminal proceedings, although this is not the
law,” she said. “[Also], police authorities to not identify women as victims of
trafficking; they simply classify them as irregular migrants and take them to a
detention centre or send them back to their own country where they are without
help.”
The European Commission describes Italy as being “at the forefront of the fight against trafficking in human
beings and the protection of victims,” owing to its victim rights centred
approach which grants people a residency permit for protection without
requiring them to take part in the prosecution process.
However, Rashida Manjoo, the
UN Special Rapporteur on violence against women described “A fragmented legal
and policy framework, as well as limited financial resources to address
violence against women” after avisit to Italy in January 2012.
If Italian law was practiced to the letter, Nicodemi
said the residency permit would allow women to integrate into society, going
beyond the initial aim of ending violence. The greater challenge is to change
attitudes within Italian society, said Ribeiro Corossacz: “Society has a sexist
attitude and at the same time women who voice their descent are delegitimised
and violence against women in all these forms is not acknowledged.”
In response to the current
challenges, a cross-border project has been set up which aims to give migrant,
refugee and ethnic minority women suffering from violence a greater voice in
Europe. Franca Bimbi, a sociology lecturer at the University of Padua, spoke briefly about
creating dialogue among women in Italy through training courses and mentors, a
process which is replicated in Finland, the Netherlands and Spain as part of
the Speak Out!
Project. She was joined at the event
by fellow University of Padua professor, Francesca Alice Vianello.
(Text by Rosie Scammell)
Monday, March 18, 2013
Vuoi lavorare? Impara il tedesco
Tratto da "L'Espresso"
di Paola Pilati e Stefano Vastano
La Germania è affamata di ingegneri, di medici, di informatici. Ma non
mancano opportunità in altri settori. Ecco perché i corsi al Goethe stanno
avendo un boom. E non solo in Italia
(18 marzo 2013)
Ich bin ein Berliner, compitava la generazione degli anni Sessanta fremendo
con John Kennedy per la libertà negata nel cuore della Germania. I ch würde so
gern ein Deutscher sein, vorrei tanto essere un tedesco, dicono oggi i giovani
disoccupati d'Europa, soprattutto di quei paesi "Pigs", i più
schiaffeggiati dalla piaga dei senza lavoro. E non basta desiderarlo. Per
salire sulla locomotiva d'Europa occorre saperlo proprio dire, e bene, nella
lingua di Schiller e di Kant: per trovare un contratto in Germania, soprattutto
per le qualifiche professionali, non basta più l'inglese come lingua franca, ma
è richiesto il livello di tedesco detto B1, molto più di quel che serve per
ordinare birra e patate.
Dal modello tedesco alla germanizzazione dell'Europa, partendo dal suo ventre molle? Pensiero scorretto, e poi non è detto che sia un male. Ma senza rispolverare la storia dell'impero romano costruito sulla diffusione della lingua, è un fatto che negli ultimi mesi ha preso forma un progetto che si potrebbe definire di "orgoglio culturale". Che vede in prima linea i Goethe Institut, la rete di scuole di lingua e civilizzazione all'estero, con una missione precisa: fare da cerniera tra il mondo delle imprese tedesche a caccia di personale qualificato e il mercato del lavoro.
E con un budget record: 139 milioni di euro la somma ora stanziata dal ministro del lavoro Ursula von der Leyen, per spingere i giovani stranieri a studiare, già in patria, il tedesco. Se prima i destinatari dei corsi di lingua erano studenti di filosofia o seminaristi, dall'anno scorso è stato un boom di aziende che hanno chiesto la formazione in tedesco per professionisti: erano solo 14 nel 2011, sono diventate 40 nel 2012. Quelle tedesche impiantate qui, da Lufthansa a Würth a RheinMetall, e quelle italiane acquistate dai tedeschi, come la Ducati, diventata Audi Group, e la Italdesign di Giugiaro, diventata Volkswagen. Nelle scuole il tedesco, eterna cenerentola, comincia a diventare un insegnamento sexy per gli studenti (10 mila in più nell'ultimo anno); la crescita di corsi al Goethe registra un più 25 per cento.
«Per fare business occorre conoscere non solo la lingua, ma anche le regole di comportamento», aggiunge Maurizio Casasco, presidente nazionale della Confapi, che riunisce le piccole e medie imprese. «Qui da noi, a Brescia, da un anno e mezzo si fanno veri corsi di formazione sul sistema tedesco dei rapporti di lavoro, sull'ottimizzazione della qualità, sull'efficienza. Per far capire ai nostri che una consegna alle ore 5 del giorno 22 deve essere quella, e non il giorno dopo, e che a una richiesta di preventivo occorre rispondere subito, altrimenti i tedeschi si rivolgono a un altro».
Ma in questo caso ciò che si muove sulla logica dei fatturati è meno potente di quanto viene messo in moto dal bisogno di braccia, anzi di cervelli. Con il suo tasso di disoccupazione al 6,9 per cento, un clima che ha permesso al sindacato Ig Metall di chiedere aumenti del 5,5 per cento e alla Volkswagen di promettere bonus di performance di 7.200 euro ai lavoratori delle sue fabbriche, la Germania è diventata il mercato del lavoro più attraente del continente.
Per far funzionare le imprese tedesche devono entrare ogni anno in Germania, stimano i demografi, almeno 400 mila emigranti. Sembra una cifra enorme, ma corrisponde per difetto alle attuali ondate migratorie. Nel 2012 infatti oltre 500 mila persone provenienti dai 27 paesi dell'Unione hanno cercato lavoro in Germania, voltando le spalle ai paesi più colpiti della crisi economica: il record è della Polonia (vedi grafico a fianco), ma sono in crescita i flussi da Spagna, Portogallo, Grecia e anche Italia. Per noi il paese della Merkel si sta trasformando in una specie di nuova America: l'anno scorso 32.633 italiani sono arrivati, per motivi di studio o alla ricerca di lavoro, in Germania. E questi, commenta Vassili Tsianos dell'università di Amburgo, «sono solo i dati ufficiali: quelli reali dovrebbero essere tre volte maggiori».
Dal modello tedesco alla germanizzazione dell'Europa, partendo dal suo ventre molle? Pensiero scorretto, e poi non è detto che sia un male. Ma senza rispolverare la storia dell'impero romano costruito sulla diffusione della lingua, è un fatto che negli ultimi mesi ha preso forma un progetto che si potrebbe definire di "orgoglio culturale". Che vede in prima linea i Goethe Institut, la rete di scuole di lingua e civilizzazione all'estero, con una missione precisa: fare da cerniera tra il mondo delle imprese tedesche a caccia di personale qualificato e il mercato del lavoro.
E con un budget record: 139 milioni di euro la somma ora stanziata dal ministro del lavoro Ursula von der Leyen, per spingere i giovani stranieri a studiare, già in patria, il tedesco. Se prima i destinatari dei corsi di lingua erano studenti di filosofia o seminaristi, dall'anno scorso è stato un boom di aziende che hanno chiesto la formazione in tedesco per professionisti: erano solo 14 nel 2011, sono diventate 40 nel 2012. Quelle tedesche impiantate qui, da Lufthansa a Würth a RheinMetall, e quelle italiane acquistate dai tedeschi, come la Ducati, diventata Audi Group, e la Italdesign di Giugiaro, diventata Volkswagen. Nelle scuole il tedesco, eterna cenerentola, comincia a diventare un insegnamento sexy per gli studenti (10 mila in più nell'ultimo anno); la crescita di corsi al Goethe registra un più 25 per cento.
«Per fare business occorre conoscere non solo la lingua, ma anche le regole di comportamento», aggiunge Maurizio Casasco, presidente nazionale della Confapi, che riunisce le piccole e medie imprese. «Qui da noi, a Brescia, da un anno e mezzo si fanno veri corsi di formazione sul sistema tedesco dei rapporti di lavoro, sull'ottimizzazione della qualità, sull'efficienza. Per far capire ai nostri che una consegna alle ore 5 del giorno 22 deve essere quella, e non il giorno dopo, e che a una richiesta di preventivo occorre rispondere subito, altrimenti i tedeschi si rivolgono a un altro».
Ma in questo caso ciò che si muove sulla logica dei fatturati è meno potente di quanto viene messo in moto dal bisogno di braccia, anzi di cervelli. Con il suo tasso di disoccupazione al 6,9 per cento, un clima che ha permesso al sindacato Ig Metall di chiedere aumenti del 5,5 per cento e alla Volkswagen di promettere bonus di performance di 7.200 euro ai lavoratori delle sue fabbriche, la Germania è diventata il mercato del lavoro più attraente del continente.
Per far funzionare le imprese tedesche devono entrare ogni anno in Germania, stimano i demografi, almeno 400 mila emigranti. Sembra una cifra enorme, ma corrisponde per difetto alle attuali ondate migratorie. Nel 2012 infatti oltre 500 mila persone provenienti dai 27 paesi dell'Unione hanno cercato lavoro in Germania, voltando le spalle ai paesi più colpiti della crisi economica: il record è della Polonia (vedi grafico a fianco), ma sono in crescita i flussi da Spagna, Portogallo, Grecia e anche Italia. Per noi il paese della Merkel si sta trasformando in una specie di nuova America: l'anno scorso 32.633 italiani sono arrivati, per motivi di studio o alla ricerca di lavoro, in Germania. E questi, commenta Vassili Tsianos dell'università di Amburgo, «sono solo i dati ufficiali: quelli reali dovrebbero essere tre volte maggiori».
Wednesday, March 13, 2013
British and American Vocabulary differences: Sixth episode
To the Americans, the need to
distinguish themselves from their former colonial masters was great, so great
that they decided to do many drastic things to distinguish their culture from
their “brothers-in-arms”. Apart from the numerous changes to their spelling and
pronunciation system (color vs colour, center vs centre, vaporize vs
vapourise), they also decided to break away from the traditional idea of “biscuits” and re-invented the snack.
It is now revived with a new style and name, and it is called the cookie.
Tuesday, March 12, 2013
Deutsche Redewendung
Da haben wir den
Salat: Was für ein Durcheinander, was für ein Ärger, was für eine Klemme! = Man
sagt’s, wenn sich etwas Unangenehmes ereignet hat. Der Salat ist doch eine Sache aus mehreren
Zutaten, die man miteinander vermengt, also Durcheinander bringt. Und wenn eine
Sache schief geht, ist sie auch Durchaeinander, so….da haben wir den Salat. Mit
dieser Aussage ist nur selten auch Salat gemeint.
Da haben wir den Salat: Ecco il guaio, ecco il casino. (Quando una cosa detta o
fatta va male e ne deriva una gran confusione)/ Now we’re
in a fine mess, the fat is in the fire (Said when something has been said or
done that will cause a lot of trouble).
Thursday, March 7, 2013
Modi di dire e cultura
Fare alla romana/Pagare alla romana:
significa
dividere in parti uguali una spesa tra amici, generalmente una cena,
indipendentemente da quanto o cosa ognuno ha consumato.
Esiste anche un modo di dire dal significato contrario a quello di "pagare alla
romana": in Inghilterra si usa dire "dutch treat" o "going dutch" ("offerta all'olandese" o "fare all'olandese"), invitando ognuno a pagare soltanto ciò che consuma;
in Italia tale espressione corrisponde a "pagare alla genovese" (i genovesi sono noti per la loro tirchieria).
Alla fine di una cena tra amici in Italia (non solo a Roma),
possiamo quindi usare quest’espressione:
Facciamo alla
romana? Oppure Paghiamo alla romana?
Possiamo anche proporre di pagare alla genovese (non solo a
Genova), ma questo non sempre può sembrare gentile, dipende dalle situazioni. Meglio
quindi non essere mai i primi a dire: “Paghiamo alla genovese?”
Tuesday, March 5, 2013
British and American Vocabulary differences: Fifth episode
People in the UK go to the cinema to watch a film. It’s the most common way of
referring to a motion picture.
People in the USA go to the movies: they go to the
cinema to watch a movie.
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